L'uso del farro in Umbria data da tempi immemorabili: questo cereale, in terra italica, ha fornito un insostituibile apporto all’alimentazione umana almeno fino a quando, nel corso del V sec. a. C., il grano iniziò a imporsi nella dieta quotidiana sostituendo l’uso del farro senza peraltro decretarne la scomparsa. Evidenze archeologiche risalenti all’età del ferro mostrano l’importanza del farro negli usi alimentari la quale si rispecchia anche nei rituali funebri come, ad esempio, nelle offerte che accompagnavano i defunti nel sepolcreto arcaico del Foro Romano.
Con l’adozione del grano, l’uso del pane si sostituì a quello dell’antica polenta, detta in latino puls, preparata con farina di farro. Anche quando il grano, il cui uso si diffonde dall’Egitto, finì per sostituire il farro sulla mensa dei romani, l’antico prestigio sacrale di questo cereale coltivato dagli antenati, rimase intatto sia nelle offerte agli dèi – come ad esempio il libum, la focaccia di farro offerta a Giano all’inizo dell’anno – sia nell’antico rito del matrimonio aristocratico il cui nome di “confarreatio” rimanda alla condivisione di una focaccia di farro tra gli sposi la quale il vincolo matrimoniale era posto sotto la giurisdizione di Giove. La mola salsa, inoltre – la farina di farro tostato dalle sacerdotesse Vestali e mescolato a una salamoia specialmente preparata dalle stesse – era un ingrediente indispensabile nei sacrifici: secondo una legge che si faceva risalire a Numa, infatti, nessuna vittima animale poteva essere sacrificata senza essere stata previamente aspersa con la sacra farinata. Lo storico greco Plutarco si spinge oltre affermando che ai tempi di Numa era bandita dal culto l’effusione del sangue e nei sacrifici si usava farro, latte e vino. L’aspersione della mola salsa era detta in latino “immolare” e “immolata” era detta la vittima aspersa, espressione del lessico pontificale passata alla lingua italiana col senso di “sacrificare” e “sacrificato”. Le Vestali, nel mese di giugno durante la celebrazione dei Vestalia, consegnavano alle matrone romane un sacchetto di mola salsa sancendo, in tal modo, la funzione di sacerdotessa del culto domestico svolta dalla donna romana. Secondo un antico costume, il soldato valoroso era ricompensato con una quantità di farro sufficiente a seminare una porzione di terreno arabile in una giornata; il premio era detto “adorea” da ador, uno degli antichi nomi latini del farro. Re Numa, inoltre, avrebbe istituito il culto a Fornax, la dea che proteggeva il farro durante la delicata fase della tostatura nel forno, operazione indispensabile che permette di asportare dai chicchi il duro tegumento che li ricopre.