Monteleone: tra Rito & Mito

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Le Ferriere

Tipologia: architettura industriale
Cronologia: XVII-XVIII secolo
Le Ferriere monteleonesi (fra le prime attività proto-industriali dello Stato Pontificio) aprono nel 1634. La produzione è interrotta dal terremoto del 1703, che devia il corso del fiume Corno (qui è ancora oggi il Ponte “delle ferriere”). Breve e fallimentare è il successivo tentativo di ripresa.
Le Ferriere di Monteleone di Spoleto sono fra le prime attività proto-industriali nello Stato Pontificio, antesignane dello sviluppo dell’area di Terni. Nel 1631 lo Stato acquista un mu­lino sul fiume Corno per costruirvi un forno. Per migliorare i collegamenti fra le aree estrattive e quelle di lavorazione finale, Urbano VIII nel 1634 realizza la costruzione della strada che dalla Flaminia passa per Monteleone, dove attraversa il Corno su un ponte detto ancora oggi “delle ferriere”.
L’attività inizia nel 1634 sotto la gestione statale della Reverenda Camera Apostolica; dal 1645 è data in affitto a Pio e Benedetto Matascioli di Norcia; nel 1692 al marchese toscano Girolamo Alber­gotti. Il disastroso terremoto del 1703 devia irreparabilmente il corso delle acque del fiume, indispensabile per la lavorazione. Dopo una lunga inattività, si ha un breve tentativo di ripresa che termina nel 1798, sempre a causa di difficoltà idrauliche.


Le Ferriere di Monteleone, un tempo chiamate giustamente “la fabbrica del ferro”, sono parte integrante e significativa della storia mineraria e metallurgica nazionale, collocandosi nell’arco di oltre due secoli, fra le prime attività produttive proto-industriali nello Stato Pontificio e antesignane del successivo sviluppo della vicina area ternana. La creazione e la breve vita dell’impresa dell’altoforno per lo sfruttamento dei minerali ferrosi nel territorio di Monteleone di Spoleto nell’ultimo decennio del XVIII secolo, è solo una parte della lunga storia di ricerca mineraria.
Già nel 1580 si ha notizia, nelle delibere delle riunioni delle Magistrature di Terni (le “Riformanze”), della richiesta e concessione ad alcuni Buzzoleni (provenienti dal Castello Mantovano di Bozzolo), di una licenza per l’impiego di una “Ferriera di ferro et rame” per un periodo di 40 anni. Ancora nel 1629 si ha nota della scoperta di una nuova miniera da cavare nella Montagna di Cascia, “et sendo più leggiero di quello delle altre miniere riesce particolarmente molto buono per far corsaletti, morioni, et archibugi”. Bisogna però attendere ancora qualche anno per trovare notizie riguardanti proprio Monteleone e il suo territorio. È infatti nel 1631 che lo Stato, e quindi il Pubblico, assume l’iniziativa di acquistare un mu­lino sul corso del fiume Corno per costruirvi un forno. Sulle montagne intorno all’abitato vengono mandati degli specialisti, periti della materia e due noti agrimensori, Mario Gentili e Domenico Castelli, per saggiare letteralmente il terreno e disporre una precisa relazione da presentare all’autorità della Reverenda Camera Apostolica. Le attività minerarie e metallurgiche vengono generalmente date in appalto a privati con contratti pluriennali, che prevedono privilegi per la gestione dell’impresa e la commercializzazione dei prodotti, mantenendo un controllo statale. Per migliorare i collegamenti fra le aree estrattive e quelle di lavorazione finale, Urbano VIII nel 1634 realizza un’importante opera viaria, con la costruzione della strada che dalla Flaminia, attraverso la località Palazzo del Papa a Strettura, porta a Ferentillo in Valnerina, passa per Caso, Gavelli e Monteleone, dove prosegue per Cascia e Norcia attraversando il fiume Corno su un ponte detto ancora oggi “delle ferriere”. L’iscrizione di Strettura, oggi perduta recitava: “VRBANVS VIII.PONT.MAX. / VIAM HANC FODINARVM VSVI / ET PVBLICAE / COMODITATI APERVIT ET STRAVIT / AC MONTEM LEONEM CASSIAM / ET NVRSIAM PROTENDIT / ANNO SALVTIS MDCXXXIV. PONT. XII”.
L’attività del forno di Monteleone inizia nel 1634 sotto la diretta gestione statale della Reverenda Camera Apostolica fino al 1644. Fra i vari delegati è anche il romano (ma di origini locali) Giulio Sinibaldi. Nel 1637 viene aperta la nuova e vicina miniera di Terrargo, appaltata al comasco Domenico Gervasoni (da notare come i discendenti siano tutt’oggi presenti a Monteleone). Nelle miniere monteleonesi si estrae l’ematite, dolce e malleabile e di qualità. Il materiale viene abbrustolito in grandi forni a cono rovesciato, alternando strati di legna e minerale per facilitare la separazione della terra e la successiva spezzatura. Al termine del processo viene poi lavato e introdotto in forni veri e propri, la cui tirata è assicurata dalla caduta d’acqua proveniente dal vicino fiume Corno. A Scheggino è contemporaneamente attiva un’altra ferriera, che riceve dal forno di Monteleone il ferraccio da convertire in ferro. L’importanza che Papa Urbano VIII assegna allo sfruttamento delle risorse minerarie è testimoniato anche dalla medaglia commemorativa coniata nell’anno 1642, che riporta su una faccia il busto del Pontefice e sull’altra un forno metallurgico con uno sfondo di minatori impegnati nello scavo a cielo aperto e la scritta “FERRI FODINIS APERTIS ROMA MDCXXXXII” (un esemplare era gelosamente conservato nel locale Municipio di Monteleone di Spoleto fino alla metà del XX secolo). A partire dal 4 giugno 1645 la ferriera viene data in affitto a Pio e Benedetto Matascioli, fratelli di Norcia, e questi proseguono fino all’anno 1692, quando subentra il marchese Girolamo Alber­gotti, toscano, che gestisce l’attività fino al disastroso terremoto del gennaio 1703, che devia irreparabilmente il corso del fiume e delle sue acque, indispensabili per fornire l’energia meccanica necessaria a muovere magli e apparecchi per soffiare l’aria nei forni, causando il crollo della paratia dell’acqua e il grave danneggiamento del forno e delle strutture. Già l’anno precedente all’infausto evento, il Piersanti aveva quasi avuto modo di preconizzarne la fine scrivendo: “sempre più è andato in deterioramento l’edificio della Ferriera, che con la profusione di tanto denaro era stato fabricato, e compito”. Nel 1777, ma più concretamente nel 1788, si rinnova da parte della R.C.A., l’interesse a riprendere l’attività dopo più di 80 anni di sosta, aprendo o ampliando cave a Gavelli, al Salto, Terrargo, Cornuvole e Rescia. L’impresa qui studiata è destinata a terminare alla fine del 1798, in periodo di Repubblica romana, sempre a causa di difficoltà di natura idraulica dello stesso corso d’acqua.