La Chiesa di Sant’Antonio di Padova in Ruscio, ricostruita dopo il sisma del 1703, sorge su un terreno del Convento di S. Francesco. Ha un altare in stucco con iscrizione che cita il “Sequeri”, preghiera popolare che fa ritrovare l’oggetto smarrito se recitata al Santo per tredici volte consecutive.
La Chiesa di Sant’Antonio di Padova in Ruscio (fraz. di Monteleone di Spoleto), è ricostruita a seguito del terremoto del 1703. L’essenziale edificio a capanna è poco adorno e reca in facciata lo stemma in marmo dell’Ordine francescano, a testimonianza della fondazione su un terreno appartenente al locale Convento di San Francesco, il quale inizialmente detiene il diritto di nomina del cappellano.
La struttura, recentemente restaurata, conserva un dossale d’altare in stucco del XVIII secolo, dipinto a finto marmo e decorato da motivi floreali. Nel capo altare è l’iscrizione dipinta “
PETUNT ET ACCIPIUNT” (Chiedono e ricevono), espressione tratta dal “
Sequeri”, una preghiera popolare dedicata ad Antonio di Padova, protettore di chi cerca oggetti smarriti, che per tradizione va recitata per tredici volte consecutive (da cui l’appellativo “Tredicina di Sant’Antonio”). La pala d’altare raffigura una Madonna con il Bambino e il Santo titolare.
La chiesa è aperta al culto quale sussidiaria della parrocchia di San Nicola.
La Chiesa di Sant’Antonio di Padova è un piccolo fabbricato posto nell’estremità meridionale del territorio di Ruscio “di sopra” (fraz. di Monteleone di Spoleto), a lato dell’omonima via di Sant’Antonio.
La struttura ecclesiastica più antica è andata distrutta nel terremoto del 14 gennaio 1703. Nota anche come “S. Antonio nel piano di sotto”, è inserita difatti nell’elenco degli edifici diroccati e necessari di interventi di restauro nella relazione della situazione post sisma, inviata qualche mese più tardi dai monteleonesi alla Congregazione appositamente istituita dallo Stato pontificio (nella quale si chiede l’esenzione fiscale e il denaro per ricostruire gli edifici e le mura castellane parzialmente dirute, nonché l’aumento dei soldati acquartierati in loco).
Nella visita pastorale del Lascaris del 1712 (nella cui relazione si cita per la valle di Ruscio una primitiva Chiesa dedicata a San Lorenzo, con annesso Ospedale), la nuova cappella è già ricostruita e funzionante. Nuovi restauri sono voluti da Don Biagio Peroni (1707- 1794), vice curato di San Nicola e cappellano di Sant’Antonio di Padova, il quale, viste le modeste dimensioni dell’ambiente e la sua inadeguatezza nel contenere tutti i fedeli, erige, insieme allo zio e parroco D. Filippo Peroni, anche un secondo edificio di culto, che viene dedicato all’Addolorata.
Con testamento del 4 marzo 1756, il sessantottenne Filippo Tabussi, in relazione alla nostra chiesa, lascia ai propri nipoti (figli di Domenico Tabussi e Agnese Vannozzi) «un legato di 6 messe festive per una cappellania» (beneficio ecclesiastico, istituito da un fedele con una donazione o per testamento, le cui rendite sono destinate al culto, sovente con l’obbligo di celebrazione di messe). Nella seconda metà del XVIII secolo ne è rettore D. Giuseppe Taurelli, che ricorda l’omonimo notaio monteleonese noto da atti stesi fra il 1726 e il 1735.
La nuova Chiesa di Sant’Antonio è fondata su un fazzoletto di terra originariamente appartenente al convento dei francescani, che per un primo tempo ne mantiene la prerogativa di scelta del cappellano. Ne è ulteriore prova lo stemma che ancora campeggia in facciata, quale simbolo dell’Ordine: uno scudo ovale in marmo, incorniciato da una corda con quattro nodi, contenente il rilievo di una croce sotto alla quale sono scolpite due braccia incrociate con i palmi aperti, l’uno appartenente a San Francesco d’Assisi e l’altro a Cristo, e in basso le iniziali “S. F.” indicanti San Francesco. La medesima raffigurazione marmorea, seppure con lievi varianti, è all’ingresso principale di San Francesco in Monteleone. La nascita dello stemma francescano risalirebbe alla fine del XV secolo, su ideazione di San Bonaventura da Bagnoregio, eminente teologo del francescanesimo, vissuto tra il 1217/21 e il 1274. In una prima versione, l’insegna non reca tuttavia la croce, ma unicamente due mani incrociate e inchiodate da un solo chiodo; la versione con croce si diffonde generalmente a partire dal XVII-XVIII secolo.
L’essenziale edificio a capanna è poco adorno, con muratura intonacata, piccolo campanile a vela e un semplice portale avente gli stipiti e l’architrave in lisci conci di pietra, soprastato da una mensola leggermente aggettante. L’interno è a navata unica e coperto a capriate, mentre nella parte posteriore, ad un livello inferiore del piano della chiesa, è l’ingresso a un piccolo ambiente a volta, oggi impiegato come deposito.
L’ambiente di culto, interamente e solidamente restaurato negli ultimi anni con i fondi della Legge del terremoto del 19/09/1979, conserva un dossale d’altare in stucco del XVIII secolo, dipinto a finto marmo e decorato da motivi floreali a rilievo. Nel capo altare è l’iscrizione dipinta “PETUNT ET ACCIPIUNT” (Chiedono e ricevono), espressione tratta dal “Sequeri” (dal latino “Si quaeri miraculas”), una preghiera popolare dedicata ad Antonio di Padova, protettore di chi cerca oggetti smarriti, che per tradizione va recitata per tredici volte consecutive (da cui l’appellativo “Tredicina di Sant’Antonio”). L’altare, restaurato nel 1994, incornicia una tela della Madonna con il Bambino che, assisa su un trono di nubi e circondata da angeli, appare al Santo titolare, al quale il piccolo Gesù consegna un giglio. Sullo sfondo si distinguono alcune architetture in prospettiva e, in basso a sinistra, tre monti (probabile riferimento alla committenza). Ai lati dell’altare sono due nicchie che accolgono statue moderne di Sant’Antonio di Padova e del Sacro Cuore di Gesù.
In passato la festa di Sant’Antonio da Padova era celebrata con grande solennità e partecipazione popolare il 13 giugno. In tale occasione, il pavimento della chiesa era cosparso di rossi papaveri, mentre un’apposita Associazione di mutuo soccorso, devota al Santo, provvedeva all’asta “delle agnelle”, con un rito che, tramandato di socio in socio, prevedeva che ogni animale venisse abbellito con fiocchi e fronde.
La chiesa, censita fra gli edifici dipendenti dalla Diocesi di Spoleto erroneamente con il titolo di “S. Antonio Abate”, è aperta al culto quale sussidiaria della parrocchia di San Nicola.